Lessi questo pensiero (con relative argomentazioni) in un bel libro di don Divo Barsotti e confesso che quella frase mi rimase nel cuore e, quotidianamente, non mancano occasioni per ricordarla e comprenderla sempre più a fondo.
Un iconografo sa cosa vuol dire e, ogni volta che guardo un’icona finita, questa frase mi ricorda da dove sono partita: legno, gesso, colla, oro, uova, pietre… Meraviglia!!!
Anche nel Vangelo non troviamo una strada diversa: le parabole che Gesù racconta, i piedi che lava, il pane e il vino, le cene («liturgiche» e non), un bacio, un tocco: si va a Dio attraverso le cose, attraverso la concretezza della vita.
Che bello anche il fatto che Dio non ci abbia messo tra le mani le cose già «finite», per andare a Lui, ma le cose che necessitano del nostro impegno e del nostro lavoro, per diventare via che porta a Lui, per parlare di Lui.
Troppo spesso oggi abbiamo infarcito e mascherato la religione di pensieri, di prediche, di idee, di parole, che, però, rischiano di non dire più niente.
Si va a Dio attraverso le cose: che bello ritrovare e riconoscere la pienezza e la verità di questa frase nel lavoro dell’iconografo, in quei pigmenti che la natura gli ha messo a disposizione, che con cura egli scioglie nell’uovo e stende più e più volte sulla tavoletta gessata, ma non solo; ritrovarla correndo nei boschi, sentendo la fatica, contemplando la natura; a tavola con gli amici, mentre si parla, si ride e si gustano cose buone; nelle cure ricevute all’ospedale e sei completamente nelle mani (non nelle idee!) degli altri: atti «sacri», sì, sacri, perché la sacralità di un atto non è nell’atto in sé, ma in quanto esso è via che conduce a Dio.
E, ogni volta, la stessa meraviglia di fronte alla concretezza di un’opera «finita», offerta o ricevuta, frutto dei doni di Dio e del lavoro dell’uomo: l’icona, la fatica, le relazioni, la cura.
Nessun commento:
Posta un commento