Mentre scrivo queste righe bislacche, ho davanti l’icona realizzata in questa quaresima, quella che porta il titolo di «Noli me tangere» e che mostra l’incontro tra il Risorto e Maria Maddalena nel giardino della sepoltura.
Che cosa avrei dato per essere una mosca o una più moderna webcam e avere assistito a quell’incontro!
Non ho avuto questa possibilità e, allora, contemplo l’icona che ho davanti e che quasi quasi mi ricorda quella della Discesa agli inferi (che, in Oriente, è l’icona della «Resurrezione»), nella scena centrale dell’incontro tra Adamo e Cristo, con la differenza che - nel «Noli me tangere» - la mano di Maria Maddalena non viene afferrata da quella di Gesù. In effetti, quando si contempla l’icona della Discesa agli inferi, lo sguardo va sempre a cadere lì: nella stretta di mano con cui Cristo afferra Adamo.

Se anche l’incontro tra il Risorto e la Maddalena fosse stato raffigurato con una stretta di mano tra i due, di nuovo lo sguardo del fedele avrebbe focalizzato quell’aspetto; invece il contatto non avviene, perché nell’incontro tra Cristo e la Maddalena, al centro ci sono gli sguardi: il volto (in lacrime… ce lo dice il vangelo) con cui Maria cerca l’Amato e lo sguardo con cui il Signore raggiunge e abbraccia la Maddalena. La «stretta di mano» è sostituita dall’incontro degli sguardi; Maria si protende verso Cristo e lui la afferra con il volto, non con la mano.
Le lacrime che rigano il volto della Maddalena non sono solo lo sfogo emotivo del suo dolore, ma diventano anche la purificazione di quello stesso sguardo ancora in cerca di quel che rimaneva del suo Signore, per possederlo. Le lacrime sono la pulizia dello sguardo, la salute dell’occhio, ecco perché il Signore lascia che Maria faccia questa esperienza di «purificazione», per vedere meglio e, quindi, anche per riconoscere il Risorto.
E, d’altra parte, chi non ha mai sperimentato che, dopo un’esperienza difficile, si diventa capaci di vedere meglio tante cose, si sperimenta uno sguardo nuovo e più maturo; anche qui… analogia, parallelismo tra le due icone?… Non so… Le lacrime: «discesa agli inferi» - che, poi, è la resurrezione - dello sguardo.
Non occorrono gli «iroman» della preghiera per incontrare il Signore: pratiche, pratiche, pratiche e poi ancora pratiche… che, magari, rimangono ad un livello epidermico e non cambiano di una virgola il nostro stile di vita. Per incontrare il Signore occorrono le lacrime, che purificano lo sguardo e cambiano il volto.
Sì, per incontrare il Risorto, è necessario attraversare questa purificazione del volto e dello sguardo; ci è necessario per divenire «profeti del volto», ossia annunciatori del vangelo attraverso lo sguardo, quello sguardo che diventa capace di dire Dio a coloro che incontra; uno sguardo capace di accogliere l’altro, di comunicargli «tu vali», «tu esisti per me», «tu sei degno di essere amato». Sarebbe una rivoluzione se i nostri sguardi dicessero questo… Pensate come sarebbe bello anche andare a fare la spesa se lo sguardo dell’altro che incroci ti comunicasse questo.
Il cristiano è chiamato a portare il volto del Risorto, che ha incontrato nella sua vita.
Anche un saluto, un sorriso, può essere un segno di misericordia, quella lampada che conforta chi è nel buio, un segno del passaggio del Dio della speranza… Una dilatazione del cuore, una profezia.
Forse vi sembrerà esagerato, ma proviamo a pensare o a fare attenzione a quanto ci fa bene un saluto, un sorriso… magari mentre siamo nella bolgia del supermercato, nella sala d’attesa dell’ospedale, in stazione… in luoghi con tanta gente, dove pure ci si sente soli e anonimi, e, proprio lì, ti raggiunge uno sguardo che ti fa sentire a casa.
Un saluto, un sorriso sono la misericordia del volto che raggiunge l’altro; sono la misericordia che ciascuno di noi può donare all’altro.
Magari sono quei «due spiccioli» che la vedova povera mette nel tesoro del tempio, ma non lasciamo che al tesoro del tempio manchino quei due spiccioli dietro i quali c’è tutta la vita di una persona.
Si può annunciare Dio (e, allo stesso tempo, sconfessarlo) e trasmettere (o far abbandonare) la fede attraverso il volto.
Noi cristiani dovremmo molto riflettere sul nostro volto…
Il nostro volto cosa dice della nostra fede?
Il nostro volto dice di chi siamo, a chi apparteniamo?
È dal tuo volto che io colgo se tu vivi davvero una comunione con il Signore… Non dai tuoi abiti, dalle persone o dai luoghi che frequenti e nemmeno dalle tue «pratiche» o da quello che fai girare sui social; ma dal tuo volto.
È da come è il tuo volto dopo la preghiera che io capisco se hai pregato.
Quando Mosè usciva dalla tenda dove aveva incontrato il Signore, si dice che il suo volto era raggiante e allora, chi lo vedeva, capiva che aveva incontrato il Signore.
Come guardiamo le persone che la vita ci affida?
Sappiamo guardarle da innamorati? Oppure più da scocciati?
Con fiducia? Con rispetto? Oppure… col broncio, con distacco?
Come si sentirà chi è guardato da noi?
Cosa incontrano le persone nel nostro sguardo?
Cosa vuol dire donare agli altri lo sguardo di Dio?
Significa guardarlo nello stesso modo con cui Dio l’ha guardato quando lo ha creato.
Mentre Dio creava Adamo, lo guardava, anzi lo contemplava da innamorato; lo contemplava e diceva: sei davvero bello-buono.
E, allora, guardare una persona con lo sguardo di Dio, comunicare il volto di Dio all’altro vuol proprio dire guardarlo con uno sguardo che sa comunicargli «tu sei bello-buono».
Mi ha colpito tutto questo, durante la quaresima, che, per ogni cristiano, dovrebbe essere il tempo in cui incamminarsi verso quel giardino.
Da quel giorno la Chiesa esiste per annunciare il Vangelo al mondo intero, per andare nel mondo, per essere lievito… Perché oggi il Risorto non è più in quel giardino; meglio: le strade del mondo e le pieghe della quotidianità sono diventate quel giardino.
Dobbiamo andare, essere nel mondo, andarci con le lacrime della Maddalena, cioè con uno sguardo purificato, convinti di trovare Colui che cerchiamo proprio lì e donarlo agli altri non come uno che crediamo di possedere, ma indicarlo come colui che attende tutti e ciascuno per un incontro personale, per pronunciare di tutti e di ciascuno il nome, perché il Cristo che si dona all’altro nell’incontro personale non sarà mai lo stesso che doniamo noi, c’è sempre uno scarto che rimane, quello scarto che il racconto evangelico traduce con la pronuncia del nome da parte di Gesù: «Maria!».
È per questo che non possiamo illuderci che il Cristo che ciascuno può incontrare coincida con quello che crediamo di tenere tra le nostre mani.
Il Cristo che siamo chiamati ad annunciare è il Cristo che di ciascuno pronuncia il nome. E il modo con cui pronuncia il nome di chi ho accanto non è lo stesso con cui pronuncia il mio.
Per questo «Noli me tangere»… Non credere che «possedermi» significhi «annunciarmi»… Ma va’ dai miei fratelli, porta loro un volto nuovo, il tuo, nella storia che vivi e, così facendo, annuncia!
Annuncia con quel tuo volto che ha incontrato il Risorto; con il tuo volto vai ad abbracciare, consolare, fortificare i tuoi fratelli; aiutali a sentire la voce del Risorto, colui che li chiama, ciascuno, per nome.
Buona Pasqua!
I tuoi articoli Novella sanno sempre parlare al cuore.
RispondiEliminaGrazie! Francesca