Di che cosa abbiamo parlato? Naturalmente di icone.
Non solo parole… Ma uno zaino e una tracolla con materiali, tavole e tutto il necessario per ricreare un piccolo laboratorio iconografico sulla cattedra.
In questa esperienza ho avuto il prezioso aiuto di Valentina, una giovane allieva iconografa.
Abbiamo mostrato ai bimbi i materiali e la tecnica impiegata per la realizzazione di un’icona e, naturalmente, abbiamo mostrato le icone, i loro colori, l’oro…
Le loro domande, curiosità, intuizioni hanno scandito e accompagnato l’incontro.
Sinceramente dobbiamo riconoscere che è stato un piacere parlare ed interagire con loro, vederli prendere appunti (nota bene: quinta elementare!!!), ascoltare le risoluzioni proposte alle varie domande, vederli toccare i materiali e fare fatica ad indovinare che cosa avevano tra le mani e davanti agli occhi… Bello!
Belli i loro sguardi: insomma, dico la verità che ci sarebbe piaciuto, alla fine, dare a tutti un pennello, una tavoletta e dire «dai che cominciamo!».
Non escludo che, prima o poi, si potrà fare.
La maestra Stefania, poi, a prosecuzione del lavoro (nelle settimane successive), ha proposto un’attività davvero bella e significativa, consistente nel realizzare (ogni alunno) un piccolo libretto relativo all’esperienza fatta, coronato dal disegno (con colori a matita o pennarelli) di un soggetto iconografico.
Bello e lodevole (oltre che pedagogicamente corretto) questo metodo di proporre, far fare un’esperienza e poi recuperarla, rielaborarla, approfondirla… Perderci del tempo, mettendo da parte l’illusione che «imparare uguale vedere/buttare dentro tante cose», secondo una logica meramente quantitativa, ma superficiale; perdere del tempo per conoscere una tecnica antica, senza confondere «antico» con «inutile»; credere che saper maneggiare un pennello potrebbe essere non meno utile, importante e costruttivo che saper maneggiare un mouse, passando da un click ad un altro click illudendosi di avere a disposizione un raccolto abbondante di nozioni, di cui, però, a conti fatti, alla prova del tempo e della vita, ci si accorge che non se ne è depositato niente; educare facendo vedere, toccare, annusare la materia, attraverso una relazione fatta di sguardi e di parole… Insomma: far fare un’esperienza reale, viva, profonda.
È stato anche bello offrire, con semplicità, la mia esperienza di iconografa: racconto sempre con orgoglio che sono partita da zero, senza conoscenze o esperienze pittoriche pregresse e che, al primo corso cui partecipai, il «risultato -diciamo così- tecnico» non fu neanche troppo positivo (pur avendo vissuto una bellissima esperienza); credere che, per quanto la tecnologia ci illuda di poter riprodurre una realtà virtuale in 3D, quell’aggettivo «virtuale» rimane tale e virtuale non è «reale», perché il virtuale non trasmette emozioni, sentimenti, profumi, odori, consistenze tattili, relazione umana… Il virtuale non scherza, non fa battute, nemmeno complimenti. Non voglio demonizzare la tecnologia, perché io stessa ne faccio uso e ne riconosco l’utilità, solo che a volte il virtuale appaga, illude e, poi,… delude o persino inganna, facendoci perdere quella cosa meravigliosa che è il gustare un’esperienza, o anche il lasciarsi ferire da un’esperienza, comunque il venire educati, l’essere cresciuti da un’esperienza… anche da adulti.
Per farla breve, credo che il problema sia quando si spinge il virtuale oltre il confine dell’«utilità» e ci si illude o si pretende che possa appagare l’orizzonte del senso, dell’esperienza, della relazione, della bellezza.
Nel corso dei miei studi in quel di Padova, mi hanno insegnato -tra le tante cose- che l’«esperienza» è una via per poter parlare della fede; che la vita di una persona può essere il vocabolario della fede e della teologia ed io mi sento di dire che, anche nell’iconografia, l’esperienza è il punto di partenza per poter dire qualcosa di significativo sulle icone e per introdurre le persone in questo mondo.
Certo è che non si possono capire fino in fondo le icone solo per quello che si legge sui libri o si vede in un video.
Certo è che non si può imparare a scrivere icone con i «tutorial» visti sul web, perché realizzare un’icona non è solo «fare un disegno» e colorarlo; è necessaria un’esperienza ed un rapporto con la materia che il web non può dare, ma solo un maestro in carne ed ossa.
Certo è che anche noi abbiamo rielaborato e «raccolto» quanto accaduto in questi incontri e ci siamo rese conto di come migliorare la proposta, decidendo di investire nella realizzazione di altri materiali ad hoc per riproporre «a scuola con l’icona».
Non sappiamo se ad altri potrà interessare un’arte che sa di antico, che si serve di cose naturali, che richiede pazienza e lavoro, e magari anche il dazio di qualche delusione iniziale.
Chissà se questo giovane progetto «a scuola con l’icona» conoscerà altre trasferte.
Diciamo solo che questa esperienza ha arricchito noi e, dai riscontri che abbiamo avuto, anche i nostri piccoli grandi interlocutori (ci tengo ancora una volta a sottolineare che le domande emerse sono state tutt’altro che banali, infantili o fuori luogo, anzi, molto pertinenti e stimolanti e del tutto spontanee).
Proprio per questo, se qualcuno ce lo chiede, l’esperienza verrà riproposta (anche fuori provincia) senza problemi: se ci chiamano, noi andiamo.
Se ci chiamate (a scuola, in parrocchia, ma anche… in sala civica), noi veniamo!
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