Benvenuto in questo blog, nato per chi ama le icone, per chi vorrebbe conoscerle (chi parte da zero e chi ne è già stato conquistato), per chi vorrebbe condividere un tempo di preghiera davanti all'icona e per chi avrebbe il desiderio di arrivare a "scriverne" una... e poi tante altre.

lunedì 7 novembre 2016

«Portatori sani di nimbo dorato/2: quando la professione diventa dedizione»

Ed eccoci alla puntata numero due relativamente alle memorie liturgiche del 1 novembre.
Dicevo, la volta scorsa, che, nelle Chiese d’Oriente, in questa data si fa memoria dei santi Cosma e Damiano, che la tradizione ricorda come fratelli gemelli, impegnati nella professione medica con una dedizione fuori dal comune e morti martiri sotto Diocleziano, nel 287 circa. Il loro culto era già molto diffuso nel VI secolo e, a tutt’oggi, sono venerati come patroni di medici, chirurghi, infermieri e farmacisti.
Dipinsi («scrissi»… per i palati degli iconografi più fini) questa icona per la prima volta pochi giorni dopo essere stata dimessa dall’ospedale, come segno di ringraziamento e a protezione di coloro alle cui cure mi ero/ero stata affidata.

Fu un’esperienza preziosa, che mi aiutò a capire bene il significato di quel «vivere santamente» di cui parlavo nello scorso post. Avessi dovuto esprimere io un giudizio, avrei detto che tutte le persone, per le cui mani ero passata, erano sante persone; eppure, una sera, un’infermiera si fermò nella mia stanza a parlare a lungo e mi disse, un po’ amareggiata, che gli operatori del reparto erano piuttosto sul non-credente/non-praticante… - Ma come? In cuor mio avrei detto il contrario: c’era più paradiso in quel reparto che in tanti saloni parrocchiali - ... Quando uscì dalla stanza, mi venne in mente quella frase di san Giacomo: «mostrami la tua fede senza le opere ed io, con le mie opere, ti mostrerò la mia fede» (Gc 2,18). Chissà se l’andare o non andare a messa basta per dirsi cristiani, per dirsi credenti?... Ognuno cerchi la risposta e, magari, senza troppo guardare e giudicare gli altri, ma piuttosto se stessi.
Se io fossi Dio, vorrei avere con me in paradiso medici, infermiere, inservienti varie incontrati in quei giorni e mi fa piacere scriverlo dato che, soprattutto sui social, rimbalzano e (quel che è peggio) rimangono solo fatti (anche se quantitativamente molto ma molto meno frequenti) di carattere negativo.
Al di là di questo, appena ne fui in grado, mi misi a fare quell’icona, quasi una «versione adulta» di quello che i bambini fanno con il pediatra, quando, per esprimere la loro gratitudine, producono un disegno e glielo regalano; ma, forse, anche questo fa un po’ parte di quel «se non ritornerete come bambini…» di cui parlava Gesù (e non me ne vergogno).
L’iconografo scrive l’icona per la gloria di Dio; ma scriverla lodando Dio e ringraziandolo perché qualcuno ci ha fatto del bene, è sempre una variazione sul tema. A tal proposito riporto un bel pensiero di Ireneo di Lione, di quelli che meriterebbero di essere inseriti nelle carte dei Baci Perugina in versione ecclesiastica: «La vita consiste essenzialmente nel partecipare a Dio […]. La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio».
E allora, mentre scrivo l’icona e faccio memoria del bene ricevuto, dei volti (luminosi, «portatori sani di nimbo dorato») da cui l’ho ricevuto, rendo grazie per quelle persone che mi hanno reso presente il suo volto e, per loro, do gloria a Dio.
Sono passati tanti secoli, ma credo che anche i primi iconografi, che scrissero le icone dei santi Cosma e Damiano, non fossero lontani da questo sentire.

Un iconografo ha bisogno di nutrirsi del volto di Dio per realizzare le sue icone.
Finché rimango in casa a fissarne le pareti, il volto di Dio potrò solo immaginarlo; ma, se esco ed incontro le persone, l’esperienza di quelle relazioni saprà regalarmi qualcosa del volto di Dio e consegnarlo al mio cuore, vera sede della memoria; sarà ciò che l’anima raccoglie e che poi andrò ad imprimere sulla tavoletta gessata, servendomi dei pennelli e dei pigmenti.
Un bravo iconografo, per fare bene questo servizio, ha bisogno di leggere la Scrittura e i testi dei Padri della Chiesa, di studiare la tecnica dell’icona, i colori e le immagini della Tradizione… Ma non può esimersi dall’abitare questo mondo con fede, con lo sguardo aperto sugli altri, per diventare capace di dipingere il volto della misericordia.
E allora, il primo novembre (il 26 settembre in Occidente), nel fare memoria dei santi Cosma e Damiano, ri-cordo (ossia rivado a ciò che è impresso nel cuore) chi mi ha aiutato a stare bene nel corpo e nello spirito e, allo stesso tempo, proprio per questo, ha saputo rendermi presente il volto di Dio, abitando santamente la terra della propria professione che, in questo caso, come per Cosma e Damiano, non rimane più solo una professione, ma una vera e propria dedizione: Grazie a tutti i «portatori sani di nimbo dorato».

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