Benvenuto in questo blog, nato per chi ama le icone, per chi vorrebbe conoscerle (chi parte da zero e chi ne è già stato conquistato), per chi vorrebbe condividere un tempo di preghiera davanti all'icona e per chi avrebbe il desiderio di arrivare a "scriverne" una... e poi tante altre.

lunedì 27 gennaio 2020

«Una Madonna da un metro e ottanta… Vi racconto come ho fatto»

Una Madonna alta un metro e ottanta… Un metro e ottanta?
Sì, certo, un metro e ottanta. La battuta sorge spontanea: «e chi sarebbe il committente? Una squadra di pallavolo o di basket che la vuole collocare negli spogliatoi come patrona?».
Battute a parte, la Madonna non è stata collocata in una palestra, ma in quello che dovrebbe essere un po’ lo «spogliatoio» dei cristiani: quel luogo dell’intimità e della comunione dove la squadra si carica, si consola, condivide gioia, rabbia, dolore, vittorie e sconfitte… soprattutto, quel luogo attorno al quale una «squadra» si crea, si genera, si costruisce, trova affiatamento ed esiste in quanto tale, lo spogliatoio appunto; poi c’è il campo, dove si gioca la partita, ma quello è un’altra cosa.
Questa Madonna che, di fatto, è una Madonna dell’Annunciazione, è stata collocata nella cappella della Casa della carità di Gaiano.


Innanzitutto mi piace pensare alla cappella come ad uno spogliatoio, là dove la chiesa è invece lo stadio o la palestra e, un conto è essere tifoso o spettatore, un conto è indossare una maglia con un numero e giocare la partita. Il tifo è importante, ma chi gioca la partita è la squadra.
So che nella vita cristiana non dovrebbe essere così (che spogliatoio e stadio dovrebbero coincidere) ma, di fatto, è così… E chi frequenta una «cappella», solitamente crea legami più intensi con gli altri frequentatori, spesso ne condivide attività caritative o sociali, ma non sempre… Si spera che chi frequenta una cappella condivida con gli altri almeno una vita cristiana, nel mondo, che possa dirsi tale.
Ecco, in uno di questi «spogliatoi», che è la cappella della Casa della carità, ha trovato posto questa icona della Madonna, alta un metro e ottanta.
In giro si trovano decine di commenti alle icone della Madonna… In questo post vorrei brevemente presentarvela da una prospettiva diversa, non tanto descrittiva (che allora sarebbe l’ennesimo commento), ma dalla prospettiva dell’iconografa che l’ha «scritta» (ossia dipinta; ma metto «scritta», se no i «puristi» insorgono).
La tavola in legno di tiglio arrivò a casa dei miei esattamente un anno fa; ricordo ancora che, appena il corriere l’ebbe scaricata, mia madre mi telefonò chiedendomi se avevo intenzione di affrescare la cappella Sistina; era la prima volta che mi cimentavo in un’icona di queste misure e non ero certa di riuscire. 
Ho dovuto «ritarare» anche tanta strumentazione: dai ciotolini (dove sciolgo i pigmenti) di 4cm di diametro che uso abitualmente, sono dovuta passare a ciotole di 10-12cm di diametro… Se fino ad allora usavo al massimo pennelli del 9, ho dovuto comperare pennelli del 16, del 18, fino al 20… ho dovuto controllare che i pigmenti fossero sufficienti, e poi l’oro (all’ultimo, quando ero quasi pronta per cominciare, mi sono accorta che con quello che avevo ci sarei stata al pelo, ma… se qualcosa fosse andato storto? Non me la sono sentita, così ho ordinato una nuova partita di libretti (per fortuna sono stati celeri con la consegna). Occorreva, poi, riprodurre il disegno fatto su un foglio A3, in dimensioni reali (180 x 60cm) per poterlo trasferire sulla tavola.
Sistemati i materiali, rimaneva l’ultimo problema: la collocazione… Occorreva trovare un luogo con la luce adatta per poter svolgere al meglio questo lavoro.
Sapevo che avrei dovuto dipingere in verticale, collocando la tavola su una sorta di cavalletto costruito appositamente… Ma con la tavola in verticale non sono mai riuscita a lavorare bene, la mano diventa meno sicura e ho, quindi, optato per l’altra dimensione (per la gioia della mia schiena… e, così, accanto all’attività pittorica, ho dovuto inserire puntualmente pause «ginniche»).
Il problema maggiore della posa in orizzontale, è dato dal fatto che non riesci mai a vedere l’icona dalla distanza e questo è molto importante quando si tratta di una figura di grandi dimensioni (non a caso, forse, mentre lavoravo, mi rimbalzava in mente una canzone: «dipende… da che dipende… da che punto guardi il mondo tutto dipende»).
Nonostante questo, andavo avanti… era fine agosto, faceva caldo, sudavo tantissimo alle due del pomeriggio, al secondo piano, in compagnia delle cicale… ma non mi pesava… vedevo il lavoro procedere e pensavo «voglio che chi la guarda ne sia toccato»; sì, perché, quando un’icona ti tocca dentro, ti muove (da cui anche e-mozione)… ti com-muove… Guardare un’icona, che è l’inizio della preghiera, come la preghiera stessa, deve muoverti, deve cambiarti, deve staccarti dalle tue chiusure; l’icona deve aiutare a fare quel passo, il primo, il secondo, il terzo… il cammino che, nella vita, ti fa raggiungere le persone, il «prossimo», deve aiutarti a superare o rimuovere gli ostacoli che ti fanno abbassare la saracinesca di fronte a persone o situazioni impegnative.
Ecco, mi sono lasciata prendere… insomma, dicevo che, nel farla, pensavo anche a cosa avrei voluto offrire alle persone con questa icona; pensavo che mi sarebbe piaciuto che le persone a cui tengo, avessero potuto vederla, ma sapevo che così non sarebbe mai stato (peccato).
Oltre che i materiali, anche i tempi e le fasi di lavorazione erano lunghissimi: per un giro di campitura del manto o della tunica, 20 minuti… considerato che avrò steso qualcosa come 10-15 strati di colore su manto, tunica, bordure, incarnati, ecc.… fate il calcolo, è molto semplice.
Per fare un’icona di misure 45x60cm, di solito l’emulsione preparata con un uovo di dimensioni medio-piccole mi avanza… in questo caso, invece, dovetti usarne tre o quattro, non ricordo.
Si trattava di avere pazienza e di trovare subito il colore giusto (in una tavola di misure contenute, se sbagli, puoi correggere rapidamente, ma, con queste dimensioni… speravo di non dover grattare qualche intera campitura, una volta finita); ripeto, qui era solo questione di tempi lunghi e di pazienza… Avevo invece paura nell’affrontare la doratura, fase più critica, paura che il lungo tempo che avrei impiegato, avrebbe costretto la tavola a rimanere scoperta in preda alla polvere, ai pelucchi, ecc… tutti elementi che rovinano una buona doratura… Ma, Qualcuno deve avermi davvero assistito dall’alto, perché filò via liscia.
Fu un lavoro impegnativo, ogni giorno e, fino all’ultimo, sempre nuovi problemi da affrontare e per i quali trovare una soluzione. Ero da sola e nessuno poteva aiutarmi o consigliarmi e un po’ mi faceva pensare a quanto era bello ai corsi di iconografia avere il maestro o anche solo qualcuno al tavolo di fianco o dietro al tuo, a cui chiedere un parere o con cui scambiare una parola, una battuta… In tanti venivano al mio tavolo a chiedere e, questa cosa, seppur interrompeva il procedere del mio lavoro, mi riempiva di orgoglio.
Ma torniamo alla Madonna. Nonostante la fatica, ricordo che la sera andavo a casa sfinita (e sudata) e la mattina non vedevo l’ora di tornare a lavorarci.
A settembre, poi, cominciò la scuola e così fui costretta a lavorarci saltuariamente nei fine settimana e anche quando sembrava ormai finita, c’era sempre qualcosa da migliorare, da aggiustare, da perfezionare… finché venne il giorno tanto atteso e tanto temuto: il giorno in cui l’avremmo rizzata in verticale e avrei potuto vederla da lontano; da vicino sembrava fatta bene, ma da lontano avrebbe potuto sortire tutt’altro effetto… Anche qui fui «graziata»… Sì, mi sembrava ben riuscita. Ora non rimaneva che attendere il tempo adeguato e poi mettere la vernice finale (altra fase non priva di rischi).
Promisi di consegnarla per l’8 dicembre.
Rimaneva un ultimo problemino da risolvere: il trasporto alla sede di destinazione… Sulla mia macchina non ci stava; qualcuno mi fece la battuta di chiedere in prestito un carro funebre (cosa che, comunque, presi in seria considerazione), alla fine riuscimmo a farla salire su un pulmino… ormai era pronta per la collocazione nello «spogliatoio».
E così fu.
Fui invitata, ma non andai alla celebrazione di intronizzazione… mi sembrava di andare là per sentirmi dire «brava» e la cosa mi avrebbe messo in imbarazzo.
Dopo la sua «dipartita», la casa mi sembrava vuota… mancava quella figura di un metro e ottanta dal viso così dolce; è quello che succede ogni volta che consegno un’icona, che mi ha fatto compagnia per un po’ di tempo… l’ho curata, custodita e lei ha custodito me e, in questo tempo, si crea un legame… consegnarla, è un po’ come dare anche una parte di me, della mia vita, ad un altro; però sono contenta di saperla là, ad accompagnare e sostenere chi quotidianamente porta il carico delle persone che hanno bisogno, delle persone che soffrono, che si lamentano, che possono diventare antipatiche, pesanti, fastidiose, il carico di un quotidiano difficile o semplicemente banale, il carico di relazioni che mettono alla prova… quel carico per portare il quale serve un aiuto dall’alto, ma anche dei «compagni di squadra» accanto.
Mi piace pensare che ogni cristiano, come Maria nell’annunciazione, sia colui che non smette di dire «sì, eccomi» al quotidiano che glielo chiede, a quel quotidiano che poi sono persone, fatti, difficoltà, speranze… Il cristiano dovrebbe essere la persona capace di tenere sempre la porta aperta al suo prossimo, alla vita, alle situazioni che chiamano.
Ora l’icona della Madonna di un metro e ottanta è là, nello «spogliatoio», e io spero che sia di aiuto, che il mio lavoro stia servendo a qualcuno.

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